venerdì 14 novembre 2008

...una buona organizzazione

Cercherò di rispondere ai commenti senza entrare nei dettagli perchè ci vorrebbero molte pagine ma delinenando alcune linee generali. Innanzi tutto, ovviamente, stiamo parlando di strutture terapeutiche per persone dipendenti da sostanze, che è l'ambito che frequento dal 1989. Queste strutture, per funzionare, devono avere un'identità, creare "un senso di appartenenza" e avere terreno fertile per instaurare "Relazioni significative" con gli ospiti. Sono i 3 principi fondamentali sui quali si può reggere una buona organizzazione educativa indipendentemente dalla metodologìa utilizzata e dalla filosofia che la regge (naturalmente si da per scontato che le organizzaizoni siano serie) . Gli ospiti dovrebbero avere dei "modelli" di riferimento e ricevere stimoli continui attraverso i quali "ri-costruire" uno stile di vita "sano". Dicono che la qualità della relazione terapeutica, insieme alla presenza della famiglia di origine, sia l'ago della bilancia in un processo di cambiamento. Con le norme introdotte, si stanno destrutturando e spersonalizzando le Comunità. Quegli educatori "stitolati"che hanno contribuito alla nascita di progetti che oggi sono parte integrante nei programmi terapeutici più diffusi (ad esempio le pronte accoglienze, i programmi per i metadonici, i programmi per i detenuti, per gli stranieri, ecc.), sono stati messi ai margini o messi in luoghi non ancora "normatizzati". Loro detengono/detenevano la storia. La storia permette di costruire un'identità, l'identità crea il senso di appartenenza, il senso di appartenenza favorisce relazioni significative sulle quali costruire un progetto di crescita con gli ospiti. Le organizzazioni serie dovrebbero tenerseli stretti questi personaggi e la Regione dovrebbe tenerne conto. Quegli operatori storici sono coloro che possono "formare" i nuovi educatori, non tanto sulle teorie educativo/psicologiche ma su come fondere quelle teorie all'interno della filosofia spirituale che regge quella organizzazione specifica. Altra cosa è la burocratizzazione estrema che è stata imposta. Gli educatori passano ormai più tempo a scrivere carte che con i "ragazzi". Pensate che gli audit sulla qualità o le verifiche ispettive delle ARS misurino la qualità della relazione educativa con gli ospiti? Ma figuratevi! Come dice Cri nel suo commento guardano scrupolosamente la forma. E Secondo voi, nella maggior parte delle strutture, è più importante il numero degli ospiti inseriti o la qualità del lavoro? Tenete presente che ancora oggi sono le rette giornaliere che tengono in vita la maggior parte delle comunità ma hanno detto che le strutture non possono ospitare più di 30 ospiti. Significa che le strutture accreditate in Regione per 30 persone, se a fine anno hanno ospitato 20 persone, in futuro verranno accreditate per 20. Quindi, per sopravvivere, dovranno rastrellare 10 persone fuori regione e così via. Di questo passo arriveremo a pagare i pazienti per entrare in comunità. Ma viene già fatto questo. Non con i soldi ma con 1000 compromessi accettati perchè non si può sospendere o interrompere un programma e perdere 1 persona. Oggi, a mio parere, funzionano bene quelle strutture piccole, che ospitano 15/20 persone al massimo e che riescono a creare quei 3 principi fondamentali descritti sopra. Per quanto riguarda la possibilità di cambiare è anno che sprono tutti coloro che conosco a uscire fuori dai gusci e smetterla di sussurrare individualmente. Quando i sussurri diventeranno 10, 100, 1000, 10000...allora sarà un GRIDO assordante!!!!

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